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29/3/2024
Dieci archetipi, dieci tarocchi contemporanei e allo stesso tempo eterni, filtrati da un prisma che guarda a Giuni Russo, Alice e Pino Mango, ma che origina da un intricato lessico sintetico, figlio della regina madre Suzanne Ciani (amica del gruppo e qui chiamata in veste di collaboratrice) ma capace di muoversi in lungo e in largo per i decenni e i continenti, algido e malleabile al tempo stesso. Artwork by Polystudio di Francesco Messina. Ondarock
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5/11/2019
“Laudes” è il nuovo album di Juri Camisasca, che raccoglie brani inediti e alcune composizioni appartenenti al repertorio gregoriano. In questo cd Juri pubblica per la prima volta una sua personale interpretazione di “Nomadi”.
La musica e il testo, ancora una volta indivisibili, toccano le corde più profonde dell’essere e generano una commozione indescrivibile.
Si mescolano così riconoscenza e infinita gratitudine per la sua arte e la sua capacità di elevare lo stato di coscienza in chi l’ascolta.
Come accade con le grandi opere, anche se già dal primo ascolto l’emozione è fortissima, i successivi ascolti permettono di coglierne ulteriore profondità.
Il suo canto, in cui si percepisce anche la fragilità fisica che sta vivendo in questa fase della sua vita, esprime una presenza essenziale e un sentimento tanto grandi da veicolare il suo elevato stato di coscienza in una verità che riguarda ognuno di noi.” Alice
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>>>>18 giugno 2013
Addio a Claudio Rocchi
"La morte è la porta che guida all'uscita, l'entrata è la vita" - Claudio Rocchi
>>>>17 novembre 2012
Franco Battiato - "Apriti Sesamo"
Ci sono voluti più di cinque anni per tornare ad ascoltare un nuovo disco di inediti di Franco Battiato escludendo dunque le cover di “Fleur 2” , le rielaborazioni della propria arte di “Inneres Auge – Il tutto è più della somma delle sue parti”. Nel mentre, il compositore catanese non è certo rimasto con le mani in mano, dedicandosi a innumerevoli altri progetti, a cominciare dalla titanica opera lirica “Telesio”.
“Apriti Sesamo” ci riconsegna un Battiato combattuto tra la condizione di cittadino indignato dai soprusi della politica e dalle prevaricazioni dell'economia da una parte, e quella dell'artista costantemente proteso alla ricerca di nuovi equilibri morali dall'altra. Se la materia è corrotta, sembra suggerire il compositore catanese, la spiritualità è il luogo eletto nel quale rifugiarsi, oppure dal quale ripartire nel processo di miglioramento del mondo. È questa contrapposizione esistenziale il tema forte che fa di "Apriti Sesamo" un disco che all'indagine interiore affianca la pubblica denuncia, mai così esplicita nelle parole più che in una struttura musicale forse meno irruente ma che non rinuncia alla ricerca e alla sperimentazione. È come se Franco Battiato, dopo averla metabolizzata, fosse riuscito a trascinare l'ira viscerale di “Inneres Auge” a un livello più sublime, nobilitandola attraverso le liriche del primo singolo "Passacaglia" (“viviamo in un mondo orribile”, e ancora “la gente è crudele e spesso infedele, nessun si vergogna di dire menzogna”), scritta a quattro mani con il fido Manlio Sgalambro ispirandosi alla composizione classica "Passacaglia della vita" del sacerdote seicentesco Stefano Landi; e poi nella metafora de "Il serpente", rappresentazione del denaro che "strisciava nelle città d'Occidente” prima dell'avvento dell'“uomo nuovo” che, scoprendo “di colpo l'esistenza del bianco”, rimetterà le cose a posto. Nonostante tutto, la fiducia nell'umanità rimane immutata.Dal punto di vista musicale, “Apriti Sesamo” non si discosta sostanzialmente né da “Dieci Stratagemmi” né da “Il Vuoto”. Il pop non rinuncia alle esplorazioni elettroniche, un connubio che si sposa alla perfezione nel tappeto di “La polvere del branco” e nei tocchi magici della visionaria “Apriti Sesamo”.
Manca la chitarra elettrica, nessuna canzone va oltre i quattro minuti e si avverte un certo ritorno ad accenni lirici e classicheggianti, l'accorato pianoforte che accompagna “Il Serpente” rimanda direttamente a “Povera patria”.“Apriti Sesamo” spalanca le sue porte al disagio della contemporaneità quanto alla ricerca del sublime, infarcendo il tutto di rimandi colti e, com'è consuetudine, poliglotti. In “Caliti Junku”, Battiato spazia dal latino al vernacolo siciliano (“Caliti juncu, chi passa la china”, ovvero “aspetta che passi la piena, verrà il tuo momento”) all'inglese, da arie antiche al pop mescolato con la musica classica. L'eleganza soprannaturale di “Un irresistibile richiamo” rimanda a Santa Teresa d'Avila (“ti saluto divinità della mia terra” è rivolta a Giuni Russo?), il ventiseiesimo dell'Inferno dantesco e il Vangelo compaiono in “Testamento”, il poeta arabo Ibn Hamdis – già incontrato nella rappresentazione teatrale “Diwan” - in “Aurora”, la Sherazade di Rimski-Korsakov in “Apriti Sesamo”, il già citato Stefano Landi in “Passacaglia”, introspettivo sguardo lungo un'intera esistenza (“vorrei tornare indietro per rivedere gli errori, per accelerare il mio processo interiore”). Uno sguardo all'indietro che si fa pop nei ricordi di “Quand'ero giovane”, un'età della quale l'autore siciliano non pare avere troppa nostalgia. Al di là della forte denuncia sociale, dunque, le dieci tracce di “Apriti Sesamo” si spingono spesso e volentieri nel campo dell'intelletto, toccando filosofie, religioni, arti e letterature diverse. È questa la grandezza dell'essere umano, declinata in ogni sua forma, che non si piega alle intemperie dei nostri tempi.
Fabio Guastalla, Ondarock
Elogio dei ventosi inverni, recensione di Antonello Saeli
>>>> 2 dicembre 2011
"Telesio", la nuova opera di Franco Battiato
Telesio: Giulio Brogi
Franco Battiato è un personaggio costantemente all’attivo che si muove ormai da decenni sulla via della sperimentazione. Il 29 Novembre, è stato pubblicato “Telesio” che è una opera in due atti più un epilogo. Il prodotto è disponibile in due versioni “Box deluxe” in tiratura limitata e un cd audio in confezione speciale.
L’opera è un lavoro a più mani per il quale Franco Battiato ha curato le musiche mentre Manlio Sgalambro, amico fraterno del cantautore, si è occupato del libretto che accompagna l’opera. Lo spettacolo ha avuto la sua prima a Maggio ma solo oggi esce il DVD del prodotto.
Ricordiamo che le coreografie dello spettacolo sono state curate dalla coreana Sen Hea Ha, considerata una delle più accreditate. Lo spettacolo, assolutamente innovativo venne presentato qualche tempo fa da Battiato che ha detto:
Questo nuovo lavoro per soli coro e orchestra sarà totalmente virtuale. La scenografia, l’attore che interpreterà Telesio, i danzatori e i cantanti, saranno degli ologrammi mentre l’orchestra naturalmente suonerà dal vivo. Ho scelto l’olografia, invece di una tradizionale rappresentazione scenica, per vari motivi: la stanchezza di una stantia situazione scenica da una parte e l’ambiguità dell’illusione, il “come se”, dall’altra. Quando capisco o so che quell’essere che si muove in palcoscenico, che parla, canta, o danza, è un ologramma, mi affascina ancora di più. Si aprono, secondo me, possibilità e scenari inimmaginabili.
L’orchestra Philharmonia Mediterranea di Cosenza è stata diretta dal Maestro Carlo Boccadoro, anche in questi casi uno dei nomi più accreditati nel suo campo. Gli elementi di questo prodotto d’opera sono fondamentalmente tre: la musica, curata dal Maestro, lo spettacolo nella sua profonda originalità e il libretto che vuole fungere da ricapitolazione per la vita stessa di Bernardino Tesio e una spiegazione molto personale dell’opera stessa, messa in atto da Franco Battiato e i suoi collaboratori.
di Antonio La Monica
"Certe cose, in particolare quelle che ti sono più familiari, ti sembra di averle fatte da sempre. Quando, dopo la maturità sono andato a Milano ad Iscrivermi all'Istituto Europeo di Design, mi sono presentato con una serie di copertine autoprodotte per musicassette che registravo con gli amici. Poi magari c'è la data della prima copertina progettata per un disco edito da una grande compagnia, ma anche questo, visto da lontano è solo un passo dei tanti. Si mescolano il ricordo dell'entusiasmo per l'occasione avuta e una visione fortemente autocritica per l'ingenuità di quei primi lavori".
"Andando dritti al centro della questione suggerisco di guardare allo straordinario sviluppo tecnologico come ad un'arma a doppio taglio, o alla solita moneta con due facce. Per me qualsiasi autonomia regalata ad un progettista dalla tecnologia è semplicemente fantastica, una manna. Il problema nasce però quando il committente pensa che le macchine possano velocizzare tutto, anche il processo creativo. Quello invece sta ancora nella tua testa, e non ha nulla a che fare con il trattamento digitale delle immagini. Un Mac con i softwere giusti aumenta l'autonomia operativa e i migliora i tempi esecutivi, ma le idee da elaborare hanno bisogno del loro tempo. L'intuizione più veloce è solo il frutto della più lunga delle incubazione. Pensaci, è una faccenda che riguarda i saperi impliciti, non quelli espliciti. Quindi, se è vero che perdere troppo tempo per un progetto non serve, è anche vero che ci vuole un po' di tempo per "entrare"nel cuore del progetto sonoro che si dovrà rappresentare".
"Molto, anche il 100% se sei assillato dalla preoccupazione di correre dietro a qualcosa che continua a sfuggirti perché cambia continuamente. Molto poco se hai sviluppato un percorso di stile personale. Quello si aggiorna da solo, giorno dopo giorno, non ha bisogno di update quando devi affrontare un progetto; quel momento sarebbe già tardi, metterebbe ansia. La questione dello stile deve precedere l'atto della committenza: bisogna sentirsi sempre pronti, chiarendo a se stessi e agli altri che si ha voglia di affrontare una nuova esperienza".
"Ma sai, quando si è presa coscienza del fatto che si sarebbe, con il cd, lavorato in un formato più piccolo, nel mondo anglosassone le case discografiche si sono scatenate alla ricerca di maggiori apporti creativi applicando una formula semplice: meno spazio = servono più idee. Io ricordo di essere stato chiamato da un direttore artistico della Emi che molto laconicamente mi disse che a fronte del nuovo piccolo formato delle future copertine, ci avremmo dovuti concentrare sull'uso di ritratti dell'artista piuttosto ravvicinati e un lettering molto semplice. Paese che vai. Comunque non credo che negli anni in cui era in uso il vinile si siano fatte tante fantastiche copertine perché il formato era grande. Era l'aria che tirava di quei tempi a farle "grandi". Ma capisco bene chi oggi ama il vinile".
"Per me la fase era, e resta, una sola. Quella legata al momento in cui capisci che hai trovato la soluzione. Diciamo che la fase due, più o meno lunga, è quella in cui la devi difendere".
"Certo (fai bene a tirar fuori l'argomento) il genere di composizioni con cui hai a che fare sicuramente influenza il processo creativo, ma guarda che a volte le cose girano diversamente. Se lavori all'interno di un mercato ben definito, almeno un po' delle sue regole le devi accettare. L'ambito commerciale ha i suoi principi, puoi lottare per cambiarli ma non far finta che non esistono. Intendo dire che a volte può succedere che per un disco non troppo commerciale sia meglio per tutti pensare ad una copertina affascinante, o esattamente al contrario, un progetto musicale più facile potrebbe essere "nobilitato" da una copertina molto raffinata: Dipende da come ti poni come progettista: vuoi rappresentare visivamente il contenuto? vuoi invece far parte del progetto ed aggiungere un elemento visuale alla musica? Sono due atteggiamenti diversi; io preferisco il secondo".
"Credo continui a valere per qualsiasi cosa. Se porto lo stesso lavoro a dieci persone diverse, ci vedranno dieci cose diverse. Per questo lavorare per la musica resta bellissimo. Anche se hai chiaro chi sono il committente e il destinatario, le varianti sono ancora tali da farti pensare che è meglio concentrarsi sulla musica, e al diavolo tutto il resto. Sia chiaro non ci sono controprove. Come diceva Stanislav Lem in Solaris: qui non ci sono risposte, ma solo scelte. Bisogna solo vedere se te le lasciano fare. Nel campo del design il committente è importante. Castiglioni diceva che qualsiasi progetto ha un padre e una madre: il progettista e il committente. Il problema è capire le forze in campo, capire se il committente è l'artista o la casa discografica. Poi, certo, ci sono anche dei normalissimi progetti di natura molto commerciale, anch'essi bellissimi da fare, che chiedono un atteggiamento professionale molto serio ma molto più lineare per il quale non serve tirar fuori questo tipo di problematiche".
"Si tratta di un aspetto fondamentale del lavoro di un grafico. Anche quando si sceglie il font (solo) apparentemente più anonimo o lineare si compie un gesto importante. Dietro l'evoluzione (o l'involuzione) della scrittura ci sta lo stato di salute di una civiltà, della cultura di un popolo. O perlomeno è l'espressione di una società. Ma se ci pensi, la faccenda vale anche per i suoni".
"Ho fatto di peggio. Avevo migliaia di dischi e tenevo quelli che mi piacevano dentro le copertine che mi piacevano, ma questi scambi si rivelarono disastrosi, quando non ricordavo più le combinazioni. Ad ogni modo resto convinto che solo dei progetti musicali di nicchia possano soffrire o essere favoriti molto dalla qualità della copertina. Il resto riguarda un atteggiamento personale, fortemente etico e a suo modo quindi progettuale: le cose nella vita vanno sempre fatte bene, con divertita serietà. Il bagno di assoluta volgarità e massimalismo in cui siamo sommarsi in questi anni non deve per principio suggerire atteggiamenti rinunciatari. Ripeto le cose vanno fatte bene, con rispetto. In attesa di tempi migliori".
"Non ne ho mai avuto la più pallida idea: hai ragione il tempismo non è il mio pezzo forte. Figurati se ne capisco di più adesso! Qui il problema però non è la direzione in cui guardare, ma il vento che non soffia. Recita il detto: quando non c'è vento nemmeno il capitano può farci nulla. La nave mi pare un po' impantanata. Ma poi c'è sempre la musica classica con cui consolarsi. Ma no bisogna perdere la voglia di annusare un po' l'aria, che prima o dopo potrebbe anche cambiare. Ma molto dopo, credo. Intanto vedo questo come un periodo di grandi compilazioni, mentali e sonore: utilissime per imparare a buttar via un sacco di cose mediocri che bizzarri motivi di gente altrettanto curiosa aveva indotto a sopravvalutare. Per la cronaca, limitandosi a campi ristretti, adesso trovo qualcosa di interessante nel new folk. Strumenti acustici molto originali mescolati ad una elettronica discreta, intelligente".
"Non dovrei essere io a dirlo, dato che sono del mestiere, ma ci vorrebbe una sana ridimensionata generale. Solo per reazione naturale, sintomo di semplice ordinaria vitalità, viene voglia continuamente di vedere qualche pagina bianca e ascoltare un po' di silenzio. Va bene, siamo nell'epoca della comunicazione, non possiamo farci nulla, ma questa è bulimia al massimo stadio. Anche internet! Fantastico, ma è come Mercurio: i messaggi li porta, mica li legge. Allora direi che dovremmo ricominciare a leggere (o rileggere) bene. Poi il numero di immagini e suoni necessari sarebbero meno. Ma forse qualitativamente migliori. Capisco, il finale è un po' moralista, ma non posso farci niente".
E' scomparso, a Londra, Mick Karn, bassista e tastierista dei Japan: l'artista, da tempo malato di cancro, è spirato nella propria abitazione, nella capitale britannica, dove era giunto ieri dopo essersi sottoposto alle ultime cure. Sul suo sito ufficiale è stato pubblicato il seguente messaggio:
"It's with profound sadness that we have to inform you that Mick finally lost his battle with cancer and passed away peacefully at 4.30pm today, 4th January 2011 at home in Chelsea, London. He was surrounded by his family and friends and will be deeply missed by all".
Chiedete a qualunque bassista chi siano i suoi bassisti preferiti e probabilmente tra questi sarà compreso Mick Karn. Molti infatti hanno intrapreso la carriera di bassista grazie al suo modo di suonare. In Giappone lo hanno definito "the God of bass guitar", la sua influenza musicale è indiscussa, ha cambiato il modo di ascoltare e suonare il basso per le generazioni a venire.
Dopo un concerto trasmesso su Radio 4 il fagotto gli fu rubato mentre tornava a casa. La scuola si rifiutò di comprargliene un altro e così, per dispetto a quella decisione, si comprò un basso da un compagno di scuola per 5 sterline. Così finì la carriera di Mick Karn nella musica classica, ma questo fu il primo passo per diventare uno dei principali bassisti del mondo. Mick aveva finalmente trovato quello che stava cercando, un modo di divertirsi suonando uno strumento senza che gli venisse insegnato come fare. A quel tempo aveva già fatto amicizia con gli adolescenti David Sylvian e il suo fratello minore Steve Jansen, che stavano entrambi imparando i loro rispettivi strumenti, David una chitarra acustica e Steve i bonghi. Sembrò naturale in seguito per David passare alla chitarra elettrica e Steve alla batteria, in modo da poter formare un gruppo e uscire dai confini del sud di Londra. Quello era il piano e un mese dopo suonarono per la prima volta come Japan il 1 giugno 1974 quando Mick aveva solo 15 anni. Nei successivi due anni si concentrarono su come sviluppare un proprio stile, provando insieme tutti i giorni. Mick preferiva non ascoltare altri bassisti ma approcciare il basso come un nuovo strumento, rifacendosi a quello che aveva imparato prima con il fagotto e il violino (entrambi strumenti che suonano spesso la melodia principale) e decidendo di togliere i tasti dal basso (come Pastorius). Mick si imbattè in Richard Barbieri (un altro amico di scuola) una mattina che lo invitò ad una delle sue prove giornaliere. Richard volle unirsi subito al gruppo, dato che avevano bisogno di un tastierista e non era importante che non avesse alcuna esperienza musicale perché aveva un lavoro sicuro in banca e divenne la loro principale fonte di reddito per le attrezzature della band. Poco dopo Richard scoprì i sintetizzatori e fu in grado di dare il suo contributo alla band in modo originale. I Japan erano ora un gruppo di quattro elementi pronti a cercare un altro chitarrista (Rob Dean) e un management che li portò al loro primo contratto discografico con la Ariola/Hansa nel 1977 e in seguito a realizzare il loro primo disco, "Adolescent Sex" nel 1978, a cui seguì "Obscure Alternatives" nello stesso anno. Il punk rock era al suo apice e come reazione ad esso, i Japan decisero di non essere visti come parte della scena di moda e così andarono nella direzione opposta, creandosi il loro proprio look con lunghi capelli tinti e trucco. I tour in Europa e Stati Uniti li videro suonare di fronte a platee ostili, non furono ben accolti, con l'eccezione del solo Giappone dove diventarono immediatamente il gruppo straniero numero uno e da quel giorno esercitarono un'influenza duratura, sia musicale che estetica.
Le cose cominciarono a cambiare dall'epoca del loro terzo disco, "Quiet Life" del 1979, quando il punk non era più dominante e il suono dei Japan era cambiato profondamente.
Mick portò sassofoni e clarinetti negli arrangiamenti, e sembrò ci fossero una serie di band simili (come suoni e look) che stavano emergendo in Gran Bretagna in quel momento: Duran Duran, Spandau Ballet, ABC, solo per citarne alcuni. I Japan furono considerati gli anticipatori di un nuovo suono e di una nuova era musicale, i New Romantics. Per loro questo significava semplicemente che era tempo di muoversi, ancora una volta, e di lasciare gli altri dietro. Dopo il celebre "Gentlemen Take Polaroids" del 1980 arrivò il capolavoro con il loro quinto album "Tin Drum" del 1981, un misto di pop cinese che unito al loro tratto distintivo ne fece un lavoro davvero interessante e originale. Nessuno poteva immaginare che sarebbe stato l'ultimo album in studio dei Japan, che avevano sempre anticipato i loro tempi. Il loro primo singolo di successo "Quiet Life" fu registrato 3 anni prima che raggiungesse le classifiche e vendettero più dischi una volta già sciolti di quando erano insieme.
Da allora Mick Karn era certamente noto ai più e incise il suo primo disco solista "Titles" con la Virgin nel 1982. Il suo stile unico fece sì che musicisti di tutti i generi volessero contribuire al suo lavoro, da Jeff Beck a Gary Numan. Quello stesso anno fu scelto da Pete Townshend per fare parte di un supergruppo che doveva suonare per il fidanzamento del Principe Carlo e Lady Diana. Pete Townshend spiegò alla stampa che Mick era di gran lunga il miglior bassista del Regno Unito e così la scelta era obbligata. Karn rispose: "Non so se sono il migliore, ancora non so leggere la musica e quindi non sono certamente il migliore tecnicamente, non conosco nemmeno le note che sono sul basso, qualche volta mi dicono che non posso suonare quella nota con quell'accordo e io rispondo: perché no se suona bene? il migliore no, ma non avendo mai sentito nessuno suonare in modo simile potrei considerarmi forse il più originale". Mick fece una grande impressione all'evento, che poi lo portò a collaborare con Midge Ure e a registrare nei dischi di Kate Bush ("Sensual World" e "Aerial") e Joan Armatrading ("Hearts and Flowers" e "Square the Circle").
Mick sorprese inoltre il mondo dell'arte con la sua prima mostra di scultura nel 1981 che ebbe un gran successo di critica, con molte recensioni da riviste non frequentate abitualmente da musicisti, e tenne altre 5 mostre a Londra, in Giappone e in Italia.
Il progetto successivo fu un trio con il vocalist Pete Murphy dei Bauhaus e il batterista Paul Lawford, chiamato Dali's Car con cui realizzarono il disco "The Waking Hour" nel 1984, con tutti gli strumenti scritti e suonati da Karn, un esperimento di musica ridotta all'osso dal sapore medio-orientale, soprattutto turca, infuenzato dalla musica ascoltata dalla madre quando era giovane, non una scelta popolare per un greco cipriota, spesso in segreto, e per questo era cresciuto con la convinzione che ci fosse in essa qualcosa di misterioso. Ciò si sente chiaramente in ogni suo lavoro solista, insieme agli altri due suoi grandi amori musicali: la classica e la musica soul-funk.
Nel 1987 Mick pubblicò il suo secondo disco solista, "Dreams of Reason Produce Monsters", usando legni e ottoni, l'armonica a bocca, la fisarmonica e perfino i cori per completare i temi che non riusciva a togliere dalla mente, con Steve Jansen alla batteria e nel ruolo di produttore. Davvero un disco lontano dal rock che ci si aspettava.
Da questo momento il basso di Mick ha raggiunto il mondo del jazz e per i successivi cinque anni avrebbe collaborato con musicisti importanti quali il chitarrista David Torn, con cui fece un tour in Nord America e Germania accompagnato dal trombettista Mark Isham e dal batterista Bill Bruford (Yes, King Crimson). David e Mick divennero subito i migliori amici e imputarono questo al fatto che non parlavano mai di musica. Karn dichiarò: "Ho imparato così tanto da David, per esempio come preparare un tour con soli 2 giorni di prove, in altre parole come improvvisare, e inoltre ho imparato che il jazz non ha bisogno di essere fatto da assoli senza fine, che poi è il motivo che mi ha sempre tenuto lontano dall'ascoltarlo". Mick ha partecipato anche al disco solista di David Torn "Door X". Mark Isham mise in piedi in seguito la sua band dei sogni per un tour negli Usa con David Torn e Mick Karn, insieme con il batterista Terry Bozzio (Frank Zappa, Missing Persons), che poi daranno vita ad un'altra band, Polytown. Karn ha partecipato anche al disco di Mark Isham "Castalia".
Quindi venne la decisione a sorpresa di riformare i Japan per un solo album uscito con il nuovo nome di Rain Tree Crow nel 1991. Mick decise di suonare un insolito basso a cinque corde per differenziare il proprio stile da quello a cui erano abituati gli ascoltatori e in alcuni casi lasciò da parte il basso per concentrarsi sul clarinetto basso come strumento principale.
Mick registrò il suo disco successivo "Bestial Cluster" nel 1993 per l'etichetta jazz tedesca CMP e divenne il loro artista più venduto. Co-prodotto da David Torn, che suonava anche le chitarre, con Steve Jansen alla batteria e Richard Barbieri alle tastiere, a cui seguì il "Bestial Cluster tour" con la stessa formazione in Europa e in Giappone.
La CMP mise sotto contratto anche i Polytown, il cui disco fu scritto, registrato e mixato in 3 settimane e pubblicato nel 1994. Mick registrò un altro disco per la CMP nel 1995, "The Tooth Mother", questa volta senza il supporto di altri musicisti dell'etichetta. Alla batteria questa volta Gavin Harrison, alle chitarre David Torn e Natasha Atlas alla voce su "Middle Eastern". Questo è stato il cd più etnico di Mick e curiosamente anche il più funky. Il musicista drum & bass Mieko Shimizu ha raggiunto Mick e Gavin Harrison alle tastiere con Tim Garland al sax per un tour in Italia, insieme col chitarrista Masami Tsuchiya che aveva partecipato al tour di addio dei Japan e all'ultimo disco dal vivo, "Oil on Canvas" del 1983.
Il lavoro di Mick con Steve Jansen e Richard Barbieri proseguì con la nascita dell'etichetta Medium Productions, che dava loro una possibilità di collaborazione indipendente dalle limitazioni delle majors. Con la sigla JBK hanno registrato diversi dischi insieme ("Beginning To Melt", "Seed", "_ism") incluso un disco dal vivo ("Playing in a Room With People") preso da alcuni concerti a Tokyo e Londra con Theo Travis ai flauti e sassofoni e Natacha Atlas alla voce. Fa parte della discografia Medium di Karn anche una collaborazione con il batterista e bassista giapponese Yoshihiro Hanno dal titolo "Liquid Glass" realizzato nel 1998.
Il successivo disco solista di Mick per la Medium Productions nel 2000 segnò un significativo distacco dagli ultimi due dischi della CMP.
Karn dichiarò: "Sebbene pensi che il jazz sia una naturale progressione per molti musicisti, più impari sulla musica, più complessa tende a diventare, io invece volevo andare nella direzione opposta, semplificare la mia scrittura, lasciarla venir fuori dall'interno senza troppe sovrastrutture".
"Each Eye a Path" è stato il più introspettivo e personale disco di Mick. Nel 2002 ne fu realizzato un disco remix da alcuni amici musicisti intitolato "Each Path a Remix", con i contributi di Ryuichi Sakamoto, David Torn, Richard Barbieri, Paul Wong e Claudio Chianuro.
Nel 2004 Mick fece quindi un disco di pop strumentale dal titolo "More Better Different" per la Invisible Hands Music. Nel 2005 Mick ha pubblicato un EP intitolato "Love's Glove" a cui seguirono "Three Part Species" nel 2006, "Selected" nel 2007 e "The Concrete Twin" nel 2009.
Nel giugno 2010 Mick Karn ha annunciato sul suo sito ufficiale che gli era stato diagnosticato un cancro in stato avanzato. Secondo David Torn la malattia si era già diffusa e stava facendo la chemioterapia. Molti artisti con cui ha collaborato, in particolare Midge Ure, i Porcupine Tree e Masami Tsuchiya, hanno annunciato concerti in suo favore, l'ultimo dei quali si è tenuto il 4 settembre in Italia a Caerano di San Marco (TV) con la partecipazione di Alice e Aldo Tagliapietra. I fondi raccolti dall'appello hanno permesso a Mick e alla sua famiglia di tornare a Londra per essere curato, dove si è spento nella sua casa di Chelsea."
>>>> 2 ottobre 2010
David Sylvian, retrospettiva "Sleepwalkers"
Composizioni scritte per i Nine Horses con Burnt Friedman e Steve Jansen, batterista e sperimentatore elettrico - compagno di lunga data - oppure con il vecchio amico Ryuichi Sakamoto.
Poi esperienze più recenti come quelle con Christian Fennesz, Jan Bang e Erik Honoré, oppure con la tromba surreale di Arve Henriksen e il compositore contemporaneo Dai Fujikura, a dimostrare, qualora ce ne fosse mai bisogno, la mente più che aperta di David, la sua indomita curiosità.
"Thermal" e "Angels", prodotto da Jan Bang e Erik Honoré, alias Punkt (con Arve Henriksen), vedono Sylvian leggere poesie su soundscape di intricata, notturna atmosfera. Capolavori di sempiterna avanguardia, come il brano omonimo, che apre la compilation, scritto con Martin Brandlmayr.
Oltre a "Sleepwalkers" altre due perle sono state recuperate dal tour book fotografico di David Sylvian, ovvero “The World Is Everything”, che intitolava il libro-cd ed “Exit/Delete” uno stimolante insieme di suoni frutto della maestria del regista e musicista Tagaci Masakatsu (protagonista anche del "Penguin Cafe Tribute”), resta da citare "Trauma" un outtake di "Blemish".
“Sleepwalkers” offre più di un pretesto per farsi apprezzare, resta un po’ d’amaro in bocca per i fan che avrebbero preferito anche una versione extended più esaustiva (come gia avvenuto per "Everything & Nothing" e "Camphor"), le versioni remix con i Nine Horses, gli altri brani mancanti succitati e alcune collaborazioni meno note (alcune rintracciabili nella falsa compilation "Commissions") potevano arricchire il già ottimo insieme.
Ma salvo questa piccolo neo, “Sleepwalkers” si segnala come un album giocoforza eterogeneo ma intensamente ispirato. Pure genius...
Ondarock – Massimo Marchini
02. Money for all (with Nine Horses)
03. Ballad of a deadman feat. Joan Wasser (with Steve Jansen)
04. Angels (with Jan Bang and Erik Honoré aka Punkt)
05. World citizen - I won't be disappointed (with Ryuichi Sakamoto/Chasm mix)
06. Five lines (with Dai Fujikura/ previously unreleased)
07. The day the earth stole heaven (with Nine Horses)
08. Playground martyrs (with Steve Jansen)
09. Exit/delete (with Masakatsu Takagi)
10. Pure genius (with Tweaker)
11. Wonderful world (with Nine Horses)
12. Transit (with Christian Fennesz)
13. The world is everything (with Takuma Watanabe)
14.Thermal (with Arve Henriksen)
15. Sugarfuel (with Readymade FC)
16. Trauma (solo outtake from Blemish)
>>>> 28 aprile 2010
Nel 1981 appare sulla scena discografica italiana il primo esperimento di musica di confine, un disco di canzoni pop contaminate dal punk, dal jazz e dal blues, dalla musica classica. Il disco si chiama "Energie"e appartiene a Giuni Russo, antesignana di un filone che oggi produce un'infinità di tenori rock. L'album fu prodotto da Franco Battiato e scritto insieme a Maria Antonietta Sisini, gli angeli che custodiranno Giuni durante la carriera musicale. Sette anni più tardi incide "A casa di Rubinstein", progetto ambizioso che mostra la maturità artistica di Giuni Russo (rielabora classici di Bellini, Donizetti e Verdi). Un disco pubblicato per "L'Ottava", etichetta di Franco Battiato, un amico che rimarrà al suo fianco nei momenti peggiori, specie quando i discografici le chiuderanno le porte in faccia.
Maria Antonietta Sisini produrrà quasi tutta la discografia di Giuni. Ora custodisce la memoria di un'artista mai dimenticata dal suo pubblico, protagonista di un percorso spirituale doloroso e sorprendente.
La incontro telefonicamente più volte per conoscere la fede cristiana di Giuni Russo tracciata in canzoni come "Moro Perché Non Moro", un poema di Santa Teresa d'Avila (Desiderio del Cielo), "La Sua Figura" ispirata a un cantico di San Giovanni della Croce (Dove mai ti celasti?).
Alice nel suo ultimo album "Lungo la strada" omaggia Giuni e reinterpreta "A' cchiu' bella", un testo di Totò da lei già cantato. Basterà?
Max Granieri