Padova. In attesa del nuovo album, in uscita a settembre, Alice si presenta al pubblico in forma smagliante, con una scaletta che ripercorre le tappe salienti della sua carriera e che lancia, sebbene con un solo brano, l’imminente novità discografica.
L’assetto strumentale essenziale (tastiera, pianoforte e chitarra) mette in risalto le doti canore di Alice, che sfodera una voce potente ed espressiva, di straordinaria pulizia e precisione, sfruttando appieno la sua estensione molto ampia con predilezione per i caratteristici toni bassi e più caldi.
L’apertura è affidata a 1943, brano di Mino Di Martino che segna l’atmosfera di gran parte del concerto: meditativa, intensa e coinvolgente. Dello stesso autore, le melodie che fanno rivivere due poesie di Pier Paolo Pasolini: Al Principe è un manifesto estetico (“Per essere poeti bisogna avere molto tempo […] per dare stile al Caos”), un’ode al mestiere dell’artista particolarmente cruciale in questo periodo in cui alla cultura vengono tagliati spazi e risorse; anche Recessione è un brano profetico, involontario specchio dei giorni nostri (“Rivedremo calzoni coi rattoppi…”), che Alice canta recitando, dilatando i versi laddove emergono nostalgia e speranza. Sempre di Mino Di Martino è l’inedito Morire d’amore, anticipazione del nuovo lavoro, un pezzo storico-mistico sulla figura di Giovanna D’Arco, che ricorda Il Carmelo di Echt di Juri Camisasca. È poesia in musica anche Anìn a grîs, su testo della poetessa Maria Grazia Di Gleria, che lega Alice alla sua terra di adozione, il Friuli.
Sono molti i frammenti del repertorio di Alice che ancora sanno rivolgersi al presente, e “L’armonia dei canti” è strutturato in modo da valorizzarli. A distanza di più di vent’anni, Il sole nella pioggia, album del 1989, è ancora il vertice della carriera dell’artista nonché uno dei dischi italiani più intensi di sempre. Nella scaletta del concerto trovano spazio tre estratti: L’era del mito, Le baccanti e Tempo senza tempo, che proiettano Alice in una dimensione spirituale e mistica, sostenuta dall’andamento ipnotico dei brani. Restando a Juri Camiscasca, autore dei pezzi appena citati, è d’obbligo l’esecuzione di Nomadi, minimalista, raccolta e perfetta. Tutta di Alice, invece, Il contatto, che ribadisce l’immagine dell’artista a cavallo tra due mondi: lì quello fisico e quello spirituale, qui quello del sogno e quello della veglia.
Tre cover omaggiano altrettanti artisti legati direttamente o idealmente ad Alice: una versione rarefatta de Il cielo funge da tributo a Lucio Dalla e vede nuovamente Alice nei panni di valorizzatrice dei tasselli meno noti del repertorio altrui; Giuni Russo, artista per molti versi speculare ad Alice, è ricordata con le note di ‘A cchiù bella, e siamo ancora nel territorio della poesia in musica (il testo è tratto da versi di Totò); infine La cura ricuce la distanza tra Alice e Franco Battiato, suo primo mentore e autore per lei di una serie di brani in bilico tra il popolare e il sofisticato.
Sono di provenienza battiatiana, infatti, i pezzi che maggiormente fanno presa sul pubblico: cantabili come fossero hit intramontabili (e lo sono), Prospettiva Nevski, Il vento caldo dell'estate e I treni di Tozeur si reggono su strutture musicali complesse e testi profondi, che l’esecuzione dal vivo sfrondata dagli arrangiamenti mette ulteriormente in rilievo. Arriva Chanson egocentrique, e Alice recupera il lato giocoso della sua anima pop, che si sfoga definitvamente nei bis, con l’immancabile Per Elisa (che pare una canzonetta ma è in realtà un vero e proprio tour de force vocale) ed infine con Messaggio, brano d’addio (in tutti i sensi), in buona parte affidato al pubblico e che mantiene intatta la propria carica anche privato della base ritmica.